Il saggio di Gabriele Perretta è stato presentato nell’ambito della rassegna “Arte, comunicazione e territorio”, organizzato da E.co. Editrice (in collaborazione con il comune di Matera e la casa editrice milanese “Paginauno”)
Un libro dalla forte connotazione distopica. Suoi riferimenti cinematografici sono in particolare: “Black mirror” (serie televisiva Netflix, alla sesta stagione) e “Blade runner” (nel film di Ridley Scott del 1982 e nel sequel di Villeneuve del 2017). Riferimento letterario: “A scanner darkley” (scrutare nel buio) di P. H. Dick.
Fautore del medialismo, principio o metodo della logica visuale (nell’ambito della critica d’arte), Perretta è studioso trentennale dei mass media.
Suoi ambiti di ricerca sono quelli della critica d’arte e della semiologia. Ha insegnato alla Sorbona di Parigi ed è ordinario di “Analisi dei processi comunicativi” all’Accademia di Brera di Milano.
In questo testo l’autore si sofferma in particolare ad analizzare come agiscono, in particolare, i nuovi media rispetto alla formazione dell’immaginario collettivo. Egli afferma che i vari “dispositivi”, costituiti dai diversi media oggi in uso, offuscano la capacità di “vedere”. E questo soprattutto nella percezione (anche e soprattutto dell’artista che della realtà è il medium più umano) della realtà.
Un testo che, come proprio dell’oggetto di studio dell’autore, è un compendio di filosofia e sociologia, di critica dell’arte e letteraria. E’ l’analisi della comunicazione di massa dei nostri tempi.
L’uso massiccio e diffuso, in particolare, dei social media pone diversi problemi nella società attuale. La distorsione nella percezione della realtà che può avere quali conseguenze, nei più giovani isolamento e dipendenza dal mezzo; ma anche negli adulti può portare a conseguenze estreme (vedi il caso della ristoratrice di Lodi). In ciò giocano un ruolo importante sia il mezzo (i social), sia il meccanismo del riconoscimento virtuale che innescano i social, ma anche coloro che alimentano questo meccanismo (influencer, giornalisti, personaggi pubblici, ecc.).
Sulla fotografia (come forma “d’arte”) – dice l’autore:“ Selfie, paesaggi, scorci urbani, il cibo che stiamo per mangiare: mettiamo sul web quasi due miliardi di istantanee al giorno (657 miliardi di immagini all’anno). L’esito è che ogni minuto scattiamo più foto di quante ne siano state prodotte nei 150 anni dall’avvento della fotografia.”
Ma l’autore va oltre, nel senso che il discorso intorno alla comunicazione di massa non può non coinvolgere la questione “politica”. Ovvero, si chiede Perretta nel testo, che valore ha la disinformazione (oggi le chiameremmo fake news) rispetto al “controllo” politico delle masse? Come influisce il meccanismo della paura, soprattutto mediatica, rispetto a questo controllo?
E cita l’esempio della Guerra dei mondi, il programma radiofonico di Orson Welles che nel 1936 mandò nel panico gli ascoltatori e che pose, per la prima volta, il problema del ruolo dei mass media (delle radio, della stampa, ecc., ovvero il quarto potere).
Dunque comunicazione di massa, economia (capitalistica) e politica (liberalista). A partire dalle Torri gemelle – dice l’autore – si è fatto più chiaro come il meccanismo della paura abbia influito sul modo di governare. Ciò è più chiaro – continua – se consideriamo il cd “first strike”, ovvero quella strategia (soprattutto in ambito militare) “di guerra” per cui un dato sistema di potere attende la prima minaccia dell’avversario per poter scatenare il suo attacco e consolidare il suo potere.
Il metodo usato dall’autore nel suo saggio è quello dell’interdisciplinarità, ovvero lo sconfinamento tra le discipline e i vari campi del sapere per ravvicinare – dice lo stesso – ad una estensione della natura.
Il concetto di realismo, secondo Perretta, quanto meno dall’ottocento in poi (fotografia e pittura), è inteso come relazione tra realtà umana e la natura.
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